Questa stanza sembra più
bianca del solito, con le sue pareti spoglie, la libreria svuotata, lo scaffale
mezzo sgombro. La luce violetta del mattino si fa spazio con una prepotenza
metallica ma silenziosa, Lubenice sta accoccolata in un lato del letto con uno
sguardo scocciato, lunatica lei, dopo essersi appropriata della sua dose di
coccole mattutine, mi guarda non molto sorpresa, mentre cerco di rubarle uno
scatto.
C’è un odore persistente di
cartone in questa stanza, ma io mi immagino i pancakes, caldi vanigliati, con
sopra una spolveratina di cocco. È solo domenica o un giorno simile, e le
nuvole bianche fanno parte di questa giornata come ne fa parte il cielo mesto,
gonfio di cose da dire, ha occhi per restare a guardare.
Mi piace il suono delle lenzuola
al mattino, ho le mani pallide sui palmi e arrossate sui nodi, le dita sembrano
aver combattuto con un pianoforte impazzito tutta la notte, i capelli sembrano
aver scontrato uno di quei venti d’Autunno che ti ritrovi sulla spiaggia,
quando il cielo non sa decidersi se far piovere o lasciar sgusciare il sole, e
il mare sembra andare per conto suo in un costante, ripetuto frastuono d’acqua.
Ma dove arrivano questi
pensieri? È solo primavera, la finestra è ancora chiusa, ma ancora prima che io
scenda dal letto, loro sono pronti a sfuggirmi, a vagare chissà dove.
Questi cinque lunghi anni, mi
appartengono e mi sono allo stesso tempo distanti adesso, con tutta la loro
forza… Le fotografie sono ancora appese al muro, quelle credo che le staccherò
per ultime. E i disegni, anche loro.. Mi piace guardarli ancora lì, mi
ricordano dove sono e dove voglio andare, mi ricordano le cose che è giusto
ricordare.